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Jolanda Innocenti di Molin Laura e Guido Galli del podere Casanuova di S. Donato a Torri ricordano, ancor oggi, tutta una serie di medicamenti empirici: · Ogni volta che ci si ammalava ci si purgava col puzzolente infuso di "sena", comprata in farmacia: "era la prima cosa da fare!". · Contro lo spavento si lavavano le parti scoperte del corpo con infusi di "erba da paura". Si trattava della siderite o stregonia che cresceva lungo i fossetti. Si procedeva a una abluzione con un decotto delle sue foglie essiccate, che leniva lo stato di ansia. Il lavaggio, accompagnato da una cantilena, andava fatto in senso discendente (verso i polsi o le caviglie) e andava ripetuto finché l'aspetto dell'acqua non era limpido. · Gli orzaioli venivano cuciti con ago senza filo, passato davanti agli occhi, simulando un rammendo e recitando preghiere, dopodiché veniva applicata una fetta di patata per sfiammare. · I porri sulle mani venivano "segnati" gettando in un pozzo tanti fagioli o sassolini quanti erano le piccole escrescenze cutanee. · Le resipole venivano "segnate" e guarite con un impiastro di foglie di lattuga. · La polmonite veniva "curata" col sangue di lepre, essiccato e inghiottito dentro un'ostia. La materia prima veniva fornita dal colono Paolo Cassi, detto Bischenchi, di Ontignano. Altro rimedio consisteva nello squartare due piccioni vivi e metterseli, ancora caldi e sanguinanti, a fasciarsi i piedi nudi. · L'itterizia veniva "annientata" inghiottendo tre pidocchi involtati in un'ostia. · Il fuoco di S. Antonio veniva curato col sangue del guaritore stesso o con quello di una gallina nera. · I frignoli venivano fatti maturare, fasciandoli con una buccia di cipolla. · Per eliminare i geloni con le "spaccature" si doveva camminare scalzi sulla neve. · La "tosse cavallina" o pertosse si curava facendo respirare al bimbo l'esalazione del calore di una fornace da calce. · I "bachi" (gli ossiuri, piccoli vermi filiformi che vivono come parassiti nell'intestino) si debellavano spezzettando in un bicchiere d'acqua del filo bianco della lunghezza di due centimetri. Se i bachi erano presenti i pezzetti di filo si muovevano nell'acqua, se invece non c'erano rimanevano fermi. L'operazione, che era denominata "incantare i bachi", andava ripetuta più volte finché i pezzetti di filo non rimanevano fermi. Era importante rispettare tutti passaggi del rito, altrimenti i bachi maligni avrebbero potuto risalire verso la gola del bambino, provocandone il soffocamento. · Per il malocchio si usava un piatto pieno d'acqua nella quale si versavano tre gocce d'olio. Se la macchia d'olio si disfaceva: era malocchio! A quel punto si intuffava il dito nell'olio e si facevano tre segni di croce alle tempie e in fronte. L'operazione andava ripetuta tre volte e l'acqua con l'olio andava obbligatoriamente gettata nell'acqua corrente.
Molti di questi riti erano "officiati" dalle settimine, donne nate di soli sette mesi o al settimo parto della madre, cui la tradizione popolare attribuiva particolari poteri magici e taumaturgici. Riti e formule si tramandavano per via matrilineare, di solito durante la notte di Natale, secondo modalità tenute segrete.
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